In Italia il mercato del lavoro legato al settore dell’information technology (It) sta diventando sempre più competitivo: la domanda supera di gran lunga l’offerta. Già, ma cosa cercano realmente le aziende e soprattutto quale mandato danno ai cacciatori di teste? Il racconto quotidiano sui media lascerebbe intendere una polarizzazione dello scenario: da una parte aziende all’avanguardia disposte a tutto per trovare talenti; dall’altra giovani professionisti all’altezza di ogni sfida privi di opportunità. La realtà è nel mezzo.
Come ha confermato a Wired Federico Colacicchi, co-fondatore di Techyon, società di head hunting italiana con focus esclusivo nell’It, “il più grande elemento di sfida è la mancanza di profili adeguatamente formati, benché non ci manchino le strutture accademiche adeguate, master o corsi professionali certificati. I nostri professionisti It, per competenze, sono a livello degli altri e spesso varcano i confini ottenendo incarichi di altissimo livello in aziende di riferimento globale“.
Informatica snobbata?
I dati confermano che non ci sono abbastanza laureati in informatica. L’osservatorio delle competenze digitali, realizzato dalle associazioni di settore Aica, Anites-Assinform, Assintel e Assinter, ha calcolato che nel 2018 i nuovi specializzati in informatica/ingegneria informatica sono stati solo 5.140. Se le università non formano abbastanza laureati, le aziende si organizzano con le loro accademie. Tuttavia, per Colacicchi, “non è tutto un male, perché non c’è professionista It più desiderato che quello contraddistinto da altre competenze, altre soft skill. Le imprese in fondo domandano la capacità di essere flessibili. Di saper apprendere nel tempo. Perché vi è almeno una certezza: i neolaureati di oggi non faranno lo stesso lavoro per tutta la vita“.
Cosa cercano le aziende
Il tema centrale è che sempre più imprese, che si tratti di multinazionali o pmi, necessitano di specialisti per portare a compimento la trasformazione digitale o agevolare il potenziamento delle loro attività. Gli sviluppatori (app, software desktop, etc.), gli esperti di cybersecurity, i data scientist, ma anche chief tecnology officer o chief innovation officer, davvero validi però non sono in numero sufficiente. La stessa situazione si ha in altri paesi europei, almeno secondo i dati di Executive resources international (il consorzio globale di cui fa parte Techyon). “Semplicemente manca una corretta informazione nel periodo che precede l’università. Non sanno quali opportunità professionali potrebbero cogliere con un percorso adeguato nelle facoltà tecnico-scientifiche (Stem, ndr)”, spiega Colacicchi. In sintesi un giovane diplomato dovrebbe interrogarsi di più sui possibili sbocchi professionali, magari approfondendo i dati riguardanti il mercato. Vi sono segmenti ormai saturi e altri in grande crescita.
L’osservatorio delle competenze digitali ha stimato che gli annunci di lavoro It viaggiano ormai sopra quota 100mila, con una crescita costante di anno in anno. Nella maggior parte dei casi (poco sotto il 50%) si cercano sviluppatori. Le altre due figure più richieste sono i digital consultant e i digital media specialist. I profili in constante crescita sono invece quelli dei systems analyst, systems administrator, service support e business information manager. Nel 2018 il Nord-Ovest ha espresso il 45% delle offerte di lavoro, concentrando anche la domanda di big data specialist (48%) e data scientist (58%). Nord-Est e Centro non hanno superato rispettivamente il 26% e il 20%. Il Sud risulta sotto quota 10%, ma con alcuni territori in forte accelerazione come ad esempio la Puglia. Se si considerano i macro-settori più affamati di risorse svettano servizi (18%) e industria (15%).
Soft e hard skill sui cui puntare
Le aziende hanno due necessità. Da una parte più competenze su cloud e distributed computing, mobile development, web architecture e development framework, user interface design, network and information security/cybersecurity, artificial intelligence, internet of things e cognitive computing. Dall’altra la crescente centralità delle cosiddette soft skill. Dall’indagine condotta tra luglio e settembre 2019 presso 50 aziende informatiche (nel perimetro associativo congiunto del dossier) è emerso che, con uno score medio di 4,1 su 6, “sono nettamente più necessarie delle skill legate ai processi Ict (3,61 su 6) e alle tecnologie (3,23 su 6)“. In tal senso i bisogni formativi più urgenti riguardano: lo sviluppo delle capacità comunicative (4,42 su 6), team management (4,34 su 6), problem solving (4,26 su 6), proattività (4,26 su 6) e gestione dello stress (4,20 su 6).
Il fabbisogno 2019-2021
L’osservatorio inoltre stima che in Italia tra il 2019 e il 2021 si confermerà una differenza negativa tra domanda e offerta di laureati IT pari a circa 28,5mila unità. Nello specifico un fabbisogno di 58.600 posizioni a fronte di 30.100 laureati. Il dato sottolinea una difficoltà che è diffusa, sebbene con modalità diverse, in tutta Europa. Nel 2018 il 57% delle imprese ha manifestato difficoltà nel coprire i posti vacanti e questo si deve anche al fatto che tra il 2011 e il 2019 il numero di specialisti It impiegati è cresciuto del 40%. Considerando l’intero settore occupazionale, la voce It assorbe in Europa mediamente circa il 3,9% dei posti; l’Italia è al 18° posto e si ferma al 3,5%.
Non a caso l’informatica è il settore economico prevalente con il 40% circa delle offerte di lavoro. Seguono i servizi professionali e consulenziali, i servizi di amministrazione e supporto e l’industria rispettivamente, con valori percentuali pari a circa il 20%, il 13% ed il 12%.
Il lavoro dei cacciatori di teste
In uno scenario di questo tipo verrebbe da chiedersi perché vi sia bisogno di una realtà come Techyon per andare a caccia di talenti IT. Il settore offre molte piattaforme di recruiting e ci sono anche già tante società indipendenti che coprono ogni spettro del mercato. “La risposta è nella particolarità del settore IT. I nostri cacciatori di talenti sono a loro volta esperti. Il dialogo iniziale con i candidati avviene su un terreno comune. E poi la principale criticità non è nello scovare i neolaureati; a quelli ci pensano già le aziende direttamente con le job fair. Molti giovani già al terzo o quarto anno ricevono decine di offerte di tirocini adeguatamente stipendiati e in alcuni casi anche proposte di contratti a tempo indeterminato. Il momento delicato è al primo o secondo anno di assunzione. I profili junior sono fra i più ambiti“, spiega Colacicchi. “E infatti lo stipendio può aumentare dal 50% all’80% quando un junior si sposta. Scattano delle vere e proprie battaglie fra le imprese“.
Le offerte economiche
Anche il tema dei compensi è delicato, poiché se da una parte alcune aziende hanno compreso di dover fare uno sforzo in più nelle offerte, dall’altra i candidati sono più consapevoli del loro valore sul mercato e dispongono di una capacità contrattuale impensabile in altri settori. “Costantemente ci troviamo a dover spiegare alle imprese che non è più come 20 anni fa, quando un neo-assunto quasi doveva ringraziare per un contratto. Oggi si parte con un lordo annuale compreso tra 22mila e 26mila euro, a seconda delle aree del paese“, aggiunge l’head hunter.
E chiosa: “Stiamo parlando di un primo contratto a tempo indeterminato di 13 o 14 mensilità, che appunto dopo uno o due anni possono superare tranquillamente i 30mila euro. Se un’azienda vuole un esperto multi-disciplinare con esperienza e un curriculum formativo di livello deve fare un’offerta adeguata; sennò verrà spazzato via dai concorrenti“. Le piazze con più offerte in questo momento sono la Lombardia, il Triveneto, Roma, Napoli e la Puglia.
In sintesi
Un giovane studente dovrebbe prediligere il liceo, secondo Colacicchi, perché quel tipo di approccio allo studio e all’analisi tornerà utile nella fase in cui bisognerà dimostrare capacità di apprendimento multi-disciplinare e adattamento. Non solo. Il bagaglio culturale acquisito sarà la base sui cui costruire soft skill. Anche solo la capacità comunicativa come può essere sviluppata se si hanno difficoltà con l’italiano scritto e parlato?
La scelta della carriera universitaria rappresenta poi uno snodo fondamentale che dovrebbe essere affrontato con una minima analisi previsionale sui potenziali sbocchi professionali. Sono disponibili analisi di mercato, studi e documenti di ogni genere a tal riguardo. Fermo restando il fatto che la contaminazione di un percorso accademico tradizionale non va considerata uno svantaggio. Si può giocare la partita tra università e corsi di specializzazione e master mettendo insieme più competenze. Ad esempio un esperto di cloud e distributed computing con una minima preparazione legale o ancora meglio con una triennale in giurisprudenza avrebbe un potenziale enorme sul mercato.
Terminati gli studi bisognerebbe considerare il primo e secondo anno di lavoro in un’azienda come palestre per aspirare a qualcosa di più. Un trampolino per un contratto junior di peso. Con la certezza che è quello il momento in cui gli head hunter verranno a bussare alla porta.
Dieci proposte per il futuro
Aica, Anites-Assinform, Assintel e Assinter hanno individuato dieci proposte per riallineare domanda e offerta nel mercato del lavoro It. Tra cui rafforzare training e aggiornamento delle competenze del personale docente; aumentare la consapevolezza che i lavori più qualificati crescerano; riallineare continuamente i percorsi di studio all’innovazione e all’interdisciplinarietà; assicurare un ecosistema più favorevole alla diffusione di una cultura imprenditoriale tra i professionisti dell’Ict; accrescere le opportunità di imprenditorialità digitale e creare percorsi di laurea trasversali.
Fonte: Wired